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Non dire benedicite, di' giustizia

Questo articolo è stato tradotto dall'originale in inglese, "Don't Say Grace, Say Justice", da Craig Biddle. L'autore ha permesso la traduzione, ma non l'ha rivista, e non è responsabile per gli eventuali sbagli di traduzione. Si può contattare il traduttore a info@oggettivismo.it.



La tradizione religiosa di dire benedicite prima di mangiare diventa più popolare tra le feste invernali, quando ci ricordiamo di quanto siamo fortunati di avere un'abbondanza di beni e servizi mantenenti della vita alla nostra disposizione. C'è però una grave ingiustizia in questa tradizione. È l'ingiustizia di ringraziare un Dio presunto per le realizzazioni di uomini reali.

Da dove vengono le idee, i principi, le costituzioni, i governi e le leggi che proteggono i nostri diritti alla vita, alla libertà, alla proprietà e alla ricerca della felicità? Cos'è la fonte dei pasti, delle medicine, delle case, delle automobili e dei jet fighter che ci tengono in vita e che ci permettono di prosperare? Chi è responsabile per la nostra libertà, la nostra prosperità e il nostro benessere?

È la libertà un regalo da Dio? No. La libertà, l'assenza di coercizione fisicale, è una condizione politica, risultando dal pensiero e dall'azione razionali di uomini—uomini come Aristotele, John Locke e i padri fondatori degli Stati Uniti.

Ha fatto Dio il dolce che scongela nella tua bocca, o i farmaci per l'asma che tengono in vita tuo figlio, o la poltrona lussuosa in cui rilassi, o la grande TV su cui guardi il tuo programma preferito? Ha creato Dio gli aerei che ti portano amici e parenti da lontano, o i bombardieri che tengono a bada i barbari, o la musica che riscalda il tuo cuore e provvede carburante per la tua anima?

Siccome Dio non è responsabile per nessuno dei beni da cui la vita e la felicità umane dipendono, perché dobbiamo ringraziarlo per tali beni? Perché non ringraziamo chi in realtà è responsabile per essi? Quale farebbe un uomo giusto?

La giustizia è la virtù di giudicare persone razionalmente—secondo che cosa dicono, fanno e producono—e di trattarle di conseguenza, concedendo ad ognuno ciò che merita. Se qualcuno passa un giorno preparando un bel pasto, la giustizia esige che lui, non Dio, sia ringraziato per aver fatto così. Se qualcuno fornisce alla sua famiglia una casa calda, sicura e comoda, la giustizia esige che lui, non Dio, sia ringraziato per aver provvistola. Se un poliziotto salva una vita, la giustizia esige che lui, non Dio, sia ringraziato. Se un coniuge o figlio o genitore ti provvede una grande gioia, la giustizia esige che lui, non Dio, sia riconosciuto propriamente. Se un filosofo scopre i principi da cui la vita dipende—e se altri mettono in pratica quelli principi—la giustizia esige che loro, non Dio, siano ringraziati.

Dire benedicite è dare merito quando niente non è dovuto—e, peggio, è trattenere merito quando è dovuto. Dire benedicite è commettere un atto di ingiustizia.

Persone razionali e produttive—che siano filosofi, scienziati, inventori, artisti, uomini d'affari, strateghe militare, amici, parenti o tu stesso—sono quelle che meritano di essere ringraziate per i beni da cui dipendono la tua vita, libertà e felicità. Questa stagione natalizia—e da ora in poi—non dire benedicite; di' giustizia. Ringrazia o riconosci le persone che in realtà provvedono i beni. Alcune di loro possono essere sedute alla tavola accanto a te. E se ti trovi ad una tavola dove altre persone insistono per dire benedicite, cortesemente insisti per dire giustizia dopo che abbiano finito. È la cosa giusta da fare.



Craig Biddle è il direttore dell’Objective Standard e l'autore di Loving Life: The Morality of Self-Interest and the Facts that Support It (Amare la vita: La moralità di interesso in sé stesso e i fatti che la sostengono). Si può contattarlo (in inglese) per email all'indirizzo cbiddle@theobjectivestandard.com.

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Greenspan mostra ancora i suoi colori anticapitalisti

Ha detto Alan Greenspan: «Io penso che aumentare le tasse o il capitale delle grandi istituzioni finanziarie non basti.» «Se sono troppo grandi per fallire—continua—sono troppi grandi.»

Risponde l'Ayn Rand Institute:

Il problema con "troppo grande per fallire" non è che c'è una grandezza magica che è "troppo grande"—si tratta dei promessi di salvataggio fatti alle grandi ditte, i quali creano incentivi perversi. La soluzione è eliminare gradualmente "troppo grande per fallire" e tutti gli altri programmi di salvataggio e sostituirli con un mercato bancario libero, che ricompenserebbe le pratiche finanziarie le quali sono buone a lungo termine, e che punirebbe quelle pratiche irresponsabili. Senza le politiche di salvataggio, le istituzioni finanziarie sarebbero veramente responsabili per le sue azioni, e per assicurare il loro successo a lungo termine, gli servirebbe eleggere correttamente la struttura, il leverage e le politiche.

Ricordati che sebbene Alan Greenspan una volta fosse un amico del capitalismo, oggi è un proprio nemico.

Generazione 1.000 euro

Secondo il rapporto dall'Ocse, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, la presente generazione degli italiani guadagna un salario medio di solo 21.374 dollari all’anno, poco più di 15mila euro all’anno, 1.000 euro netto al mese. E la differenza tra il costo di lavoro alla propria impresa e quello che finisce nella propria tasca? Nel 2008, è stato pari al 46,5% del costo totale. In altre parole, l’impiegato ha intascato il 53,5% del suo lavoro, e il resto, lo Stato l’ha preso.

I soldi che intaschi al fine mese, sono essi i tuoi? Non dimenticare l’IVA. Al 20% lordo, dobbiamo sottrarre un altro 16,7%. (Ignoriamo quei beni con aliquote ridotte.) Poi è rimasto solo il 44,6% di quello che hai prodotto.

Naturalmente, questo non è la fine delle tasse, e questo e un medio. Se guadagni di più, lo Stato prende di più (rispetto solo all’Irpef, il 43% per chi guadagna 75mila euro all’anno).

C’è alcuna ragione di domandarsi come gli italiani che vogliono trovare lavoro vanno all’estero? Come si dovrebbe lavorare, ottenere successo o innovare se lo Stato prende più di una metà di quello che si produce?

Il «diritto» alla privacy

C’è un diritto alla privacy? C’è un diritto di bloccare la pubblicazione dell’informazione, ottenuta in pubblico, senza forza, che non ti piace? C’è un diritto di smettere qualcuno di riportare ciò che ha osservato?

[U]na giovane donna italiana—non iscritta al social network—si è rivolta all'Aidacon (Associazione Italiana per la Difesa dell'Ambiente e del Consumatore) per avviare un procedimento giudiziario contro Facebook ed un suo utente reo di aver pubblicato alcune vecchie foto della ragazza ai tempi del liceo abbracciata con un vecchio amico, foto che avrebbero causato una crisi sentimentale della donna con l'attuale fidanzato.

L’unico senso in cui la privacy può essere un diritto è quello di controllare gli usi della tua proprietà. Puoi dire a chi entra casa tua o il tuo luogo di commercio: vietato fumare, vietato uso di macchine fotografiche, ecc. Tali condizioni sono derivati del tuo diritto di proprietà, il quale include il diritto di scegliere i suoi uso e disposizione. Se sei a casa tua, con le serrande chiuse, nessuno ha diritto di aprirle, e in questo senso, hai un diritto alla privacy.

Quando sei nella proprietà altrui, sei soggetto a tutte le sue condizioni. Se tali non esistano, comportati bene.